Un giorno arrivò in paese uno straniero con un fagotto attaccato ad un bastone, gli abiti lisi e le scarpe che raccontavano di grandi avventure in giro per il mondo. Aveva con se soltanto qualche sacchetto con degli strani semi e delle boccette di vetro scuro, talmente sporche e vecchie da non riuscire a capire se fossero scure per fabbricazione o semplicemente per effetto dello sporco che lentamente, anno dopo anno, si era depositato sulla superficie.
Era entrato in paese passando dalla porta di levante, quella che veniva utilizzata per far entrare nelle mura i carichi di merci provenienti dal vicino regno di Mardram.
Forse anche lui proveniva da lì. Sì doveva per forza essere così. D’altronde Mardram era pieno di persone simili, senza una fissa dimora, dei vagabondi, persone che in fondo non avevano legami con la loro terra natia e che quindi nel loro girovagare, rimanevano attratti dal fascino di quel regno così diverso dagli altri.
Mardram era un regno in cui ognuno degli abitanti conosceva perfettamente quali fossero i propri diritti e ogni giorno combatteva battaglie più o meno impegnative per difendere il grande privilegio di essere liberi.
Ad un tratto l’uomo col fagotto alzò gli occhi e vide avanzare due persone intente a discutere animatamente e più si avvicinavano, tanto più le parole divenivano chiare e comprensibili.
“Ti ripeto che ubbidire non può essere un diritto, ma semmai un dovere. Non si è mai sentito da nessuna parte che ubbidire possa essere qualcosa per cui una persona sia disposta a combattere e magari anche a perdere la propria vita” disse il primo.
“Fratello, in tutto il Mondo forse sarà anche vero, ma non a Mardram. Lo sai che quel posto è strano. Lì ogni diritto ha pari dignità e se anche risponde al bisogno di una singola persona, allora è un diritto per cui vale la pena anche morire” rispose il secondo.
“Ma come è mai possibile che anche una sola persona senta il bisogno di ubbidire? Non è proprio possibile, nessuno vuole ubbidire se non costretto con la forza o con il ricatto. Siamo spiriti liberi e in quanto tali a nessuno piace sottostare agli ordini di qualcun altro”.
Nel frattempo erano arrivati al cospetto del vagabondo e smisero per un attimo di parlare, per capire meglio chi avessero davanti, visto che non si trattava di una persona del paese, ma di un forestiero.
A Pricor si conoscevano tutti e quell’uomo non era sicuramente uno di loro.
Il viandante si fermò e con fare lento posò a terra il fagotto e bevve un sorso d’acqua dal piccolo otre che portava attaccato alla cintura.
Il lungo cammino aveva reso aride le sottili labbra spaccate dal sole e dal vento del deserto.
“Buon uomo” disse uno dei due uomini di Pricor, “Da dove provieni? Devi aver fatto un lungo viaggio e sarai certamente stremato. In paese c’è un’ottima locanda in cui potrai fare un bel bagno, indossare dei vestiti puliti, gustare un bel piatto caldo e fare un bel sonno ristoratore su un morbido ed accogliente materasso.”
Il vagabondo li guardò attentamente e poi rivolse lentamente lo sguardo al cielo. Il sole era ancora alto e illuminò i capelli grigi che mossi dal lieve refolo risplendevano come sottili fili d’argento.
Stette un altro istante in silenzio e poi disse: “Ho già con me tutto quello che mi occorre. Sono anni che cammino alla ricerca della verità e giorno dopo giorno mi sono pian piano alleggerito del peso del grande bagaglio che avevo portato con me. Non sarei potuto partire senza le provviste per sfamarmi lungo il cammino, i vestiti per coprirmi dalle intemperie e le scarpe comode per affrontare i terreni più impervi e tante altre cose che ritenevo essere importanti per intraprendere questo lungo cammino.”
“Ma che cosa ne è stato del tuo bagaglio” chiese incuriosito il più alto dei due uomini di Pricor “siete stato forse derubato durante il viaggio?”
Il viandante stette un attimo in silenzio con sguardo assorto e pensieroso e poi disse: “Non sono stato derubato da nessuno, ma più giorni passavano dalla mia partenza, più il peso del bagaglio diveniva insopportabile. Ad un certo punto, ho dovuto prendere una sofferta decisione: abbandonare gran parte del mio bagaglio e continuare leggero il viaggio, rischiando di non aver nulla da mangiare quando avessi avuto fame o di che coprirmi quando fosse arrivato il freddo, oppure tornare indietro con tutte le mie cose e rinunciare per sempre al mio viaggio.”
I due iniziarono ad ascoltare il viandante sempre più interessati.
“Non è stato facile e non so nemmeno io dove abbia trovato la forza di lasciare andare tutto e di proseguire questo viaggio così incerto ed avventuroso, ma ne è valsa veramente la pena. Ho scoperto quanto sia affascinante essere leggeri e come ci si possa sentire ricchi con solo un fardello così piccolo e un otre con poca acqua attaccato alla cinta.”
“Ma per far quello che ho fatto, la prima cosa che ho dovuto lasciare indietro è stata la paura.”
“E come si fa a lasciare indietro la paura?” chiese uno dei due uomini di Pricor.
“Non è facile” rispose il viandante. “La paura ci accompagna da quando nasciamo a quando moriamo ed è una presenza così invadente da considerarla ormai una parte di noi stessi. Ma la paura non è altro che la conseguenza dell’ignoranza ed in particolare di chi siamo realmente e del perché ci troviamo qui. Se riusciamo a rispondere a queste domande guardando in profondità nella nostra interiorità, ecco che la paura pian piano svanisce e diviene nostra compagna di viaggio la fiducia.”
“La fiducia non ha bisogno di nulla, perché sa bene di poter disporre di tutto quello che gli occorre e che ogni cosa necessaria si paleserà al momento giusto.”
“Ma per arrivare a questo punto, la cosa veramente fondamentale è non smettere mai di lottare per il diritto di ubbidire.”
“Come è possibile che un atto di impotenza e sottomissione come l’ubbidire possa essere così importante per ottenere la vera libertà?” chiesero all’unisono i due uomini di Pricor.
“Solo se si ha il diritto di ubbidire alla propria voce interiore e ai bisogni più veri e profondi, sarà possibile intraprendere questo percorso di alleggerimento che è in grado di tagliare i lacci che ci tengono ancorati con forza a terra e ci impediscono di volare. Senza la possibilità di ubbidire al nostre Sé più profondo, non potremo far altro che girare in tondo, come accade all’asino del mulino che ha il paraocchi per non vedere intorno e il giogo che lo costringe a muovere la grande macina.”
Detto questo, il viandante fece un cenno di saluto con la mano e stancamente riprese il suo cammino, lasciando i due uomini profondamente scossi e turbati da quella rivelazione.
Ora avevano finalmente compreso quanto fosse prezioso e inviolabile il diritto di ubbidire e che per difenderlo valesse veramente la pena anche sacrificare la propria vita.